Testo di Francesco Sabatini
Foto di Sara Furlanetto
L’Appennino Centrale corre sul confine tra Umbria e Marche. Ci siamo arrivati nelle fredde e piovose giornate di novembre e ci ha riscaldati l’accoglienza dei tanti giovani che con associazioni, aziende e iniziative varie cercano di portare nuova vita in luoghi sempre più spopolati.
Siamo a Pieia, frazione di Cagli, in attesa che parte del gruppo finisca la tappa del Monte Nerone (dove si incontrano mandrie di cavalli allo stato brado), e decidiamo di goderci un triplo malto artigianale del birrificio Collesi di Apecchio: più che una birra, quasi uno champagne, dal gusto intenso ed equilibrato. E’ quasi buio e in questo momento di pausa vediamo arrivare un gruppo di ragazzi di ritorno da una passeggiata all’Arco di Fondarca (arco naturale rimasto in piedi dopo il crollo di una delle tante grotte presenti in questa parte dell’Appennino). Condividiamo con loro la nostra birra e scopriamo che, oltre ad alcuni italiani, ci sono ragazzi che vengono dalla Germania, dal Belgio e dalla Colombia. Alla domanda “Ma cosa ci fate qui?”, a fine novembre, in un giorno feriale, ci rispondono: “Ci viviamo”.
Sorpresi dalla presenza di questi giovani, ci dirigiamo verso Pianello di Cagli per dormire nella Yurta di Vasco Feligni, guida ambientale che ci ha accompagnati nella scoperta di questa zona delle Marche.
Una volta sistemati (bellissima, laYurta!), andiamo a presentare il progetto di Va’ Sentiero in uno dei bar del paese, in una situazione più informale del solito: seduti sopra un biliardo, con le birre in mano, parliamo della nostra avventura davanti a una decina di giovani entusiasti che ci hanno accolto anche con torte salate, salumi e formaggi. La situazione poi si ribalta e sono loro a raccontarci le proprie storie, come sono arrivati a vivere a Pianello di Cagli.
Vasco ci ha spiegato che molti giovani sono stati attirati a Pianello dalle tante sagre che si svolgono durante il periodo primaverile/estivo. A maggio c’è “PiaceriDiVini”, una sagra vissuta nelle osterie dove si può degustare la cucina locale insieme a vino e musica; il 2 giugno si tiene la Sagra della Lumaca, cucinata in porchetta, ricetta tipicamente marchigiana, ovvero arricchita con il finocchietto selvatico; a luglio la Festa della Montagna e ad agosto quella dei Quattro Cantoni in cui si può assaggiare, tra le altre cose, la crescia che qui, a differenza che in altri posti, è una “pizza” al formaggio.
Cibo, vino e musica, insieme alla bellezza dei luoghi, hanno spinto alcuni giovani a trasferirsi qui per un’esperienza di vita condivisa, infatti durante il nostro cammino abbiamo incontrato molte esperienze di “comuni”. Nella vicina frazione di Caimercati una decina di persone si sono trasferite per far rivivere il piccolo borgo: c’è chi gira l’Italia con un pulmino pieno di giochi tradizionali in legno per il divertimento dei bambini alle feste di paese, chi si occupa del taglio del bosco, chi fa il maniscalco e molti altri hanno trovato nell’allevamento e nell’agricoltura il modo per guadagnarsi da vivere.
Il primo ad arrivare a Caimercati è stato Cristian Gualtieri, un ragazzo umbro che, dopo un periodo passato a girare il mondo, ha deciso di trasferirsi in questo luogo per far crescere i suoi figli lontano dalle città. All’inizio coltivava qualcosa per il consumo familiare, ma lavorando a contatto con gli agricoltori del posto si è appassionato e ha appreso i segreti del mestiere, tanto da ampliare la sua produzione fino ad aprire l’Azienda Agricola Caimercati che produce ortaggi, legumi e soprattutto farro, varietà antica di grano recuperata da alcuni amici agricoltori. Circa dieci anni fa, un’amica umbra produttrice di olio ha messo in contatto Cristian con una società giapponese, interessata a importare pasta di farro in Giappone. Quest’incontro ha aumentato i profitti dell’azienda e ne ha consentita la crescita con la proposta di altri prodotti al mercato giapponese.
La coltivazione del farro e di altri grani antichi (grano tenero varietà Gentil rosso e Rieti, grano duro Senatore Cappelli) ha bisogno della rotazione con legumi ed erba medica, perciò l’Azienda Caimercati produce anche lenticchie e ceci.
Così, dalle montagne marchigiane arrivano in Giappone grano e legumi, sia interi che trasformati infarina e in pasta. La lavorazione delle materie prime che Cristian produce è fatta da aziende che lavorano per un prodotto di qualità che rispetti la natura. Due o tre volte l’anno la titolare della Società importatrice viene in visita, accompagnata da una decina di clienti giapponesi, per vedere i luoghi e le strutture in cui si produce ciò che poi loro mangiano: un bel modo per far incontrare e conoscere persone e territori.
Cristian, in una sintesi del suo operato, dice: “Le ore di lavoro spese nei campi e il guadagno nonsono comparabili, però faccio quello che mi piace e questo mi rende felice”.
Un’altra esperienza di vita legata al cibo è quella di Gregorio Lombardi e Giada J Todisco Grande, una giovane coppia con due bellissimi bimbi che ha deciso allevare maiali e mezzi cinghiali. Gregorio, originario di Pesaro e diplomato in Scienze agrarie, aveva sviluppato durante i suoi studi la volontà di realizzare un allevamento per l’autosufficienza, in grado cioè di supportare il fabbisogno economico di una famiglia. Ha iniziato con un piccolo allevamento nelle vicinanze di Fossombrone e, poco dopo, Giada ha deciso di condividere con lui non solo la vita affettiva, ma anche il desiderio di vivere a contatto con gli animali. Giada, torinese di nascita, laureata in Biologia, ha una vera e propria passione per i suini tanto da aver adottato una “cinghiala”durante il “nevone” del 2012.
Nei primi anni sono riusciti ad andare avanti senza fondi, grazie alla collaborazione di persone che credevano nel loro progetto. Ad esempio, il pastificio biologico Prometeo di Canovaccio regalava loro gli scarti di produzione come mangime per i maiali.
L’idea di azienda di Gregorio e Giada prevedeva un numero cospicuo di maiali tenuti allo stato brado e non in stalla, perciò era necessario trovare un luogo non troppo vicino ad altre case o terreni coltivati. “La nostra idea era quella di riuscire a trovare un posto dove gli animali potessero vivere nel bosco, con vicini diradati perché è importante non avere campi coltivati attorno. Pianello ci è sembrato il luogo ideale e, inoltre, la presenza del Monte Nerone ci permetteva di realizzare il desiderio di vivere un po’ in alto” racconta Giada.
L’azienda G. Brigantes (la G èl'iniziale di Gregorio e di Giada e Brigantes è un richiamo al passato di quest’area in cui il brigantaggio era diffuso) vende principalmente carne fresca di suino al dettaglio o ai GAS, Gruppi di Acquisto Solidale, a pacchi da cinque chili, con diversi tagli. Per ora, la macellazione avviene in un laboratorio esterno, ma grazie ad alcuni finanziamenti europei, Giada e Gregorio stanno realizzando un laboratorio interno. Hanno anche intenzione di ampliare l’offerta con prodotti derivati da altri animali: oggi hanno polli, due mucche Highland scozzesi e un cavallo.
L’azienda si trova in Val di Pietra, ai margini del Bosco di Tecchie, oggi divenuta Riserva Naturale Regionale, della cui cura Giada e Gregorio si sono occupati con l’Associazione Le Tecchie. Pianello, nonostante le piccole dimensioni, offre i servizi essenziali, compresa la scuola, che i giovani con il loro figli contribuiscono a tenere aperta.
“Lavoriamo da soli, io e Greg, ci siamo presi questa responsabilità dell’azienda, però siamo in rete con altre persone. Questo significa molto sia per la famiglia,sia per l'azienda: c’è una comunità, una realtà importante quando scegli di vivere con la terra e gli animali, perché sai di poter contare su persone che comprendono e condividono le tue idee. Si crea una rete di supporto reciproco, scambiando ad esempio tempo, lavoro, cura...”.
Durante la serata, un divertente personaggio a metà tra un giovane Vasco Rossi e il primo Benigni ci ha intrattenuto con le sue battute: Nicola Faliva, un ragazzo bresciano appassionato di tartufi, una delle risorse più conosciute di quest’area. Siamo poco distanti da Acqualagna (famosa per il suo tartufo bianco) e qui troviamo tutte le nove specie sul mercato: il bianco pregiato, il bianchetto, lo scorzone, l’uncinato, il nero pregiato, il brumale, il moscato, il mesenterico (o nero ordinario) e il nero liscio. Il tartufo è un fungo ipogeo che si distingue in base al colore della scorza, alla sua superficie liscia o rugosa, al colore della parte interna (la gleba), ma la differenza maggiore è sicuramente nel profumo.
Nicola ci parla anche dei cani da tartufo: “I cani sono fondamentali perché sostituiscono il lavoro che viene fatto da certi cavatori che zappano il pianello, cioè l’area intorno alla radice della pianta, dove il tartufo cresce, rovinando completamente il processo di riproduzione del fungo.” Il cane inoltre è utile perché è addestrato a riconoscere con il fiuto il tartufo maturo: se viene preso ancora acerbo infatti, oltre a non avere un gran profumo, non ha il tempo per disseminare le spore. Nelle tartufaie, che si formano principalmente sotto le querce, i salici, i noccioli, i carpini e i pioppi, conviene sempre lasciare qualche tartufo che marcendo rilascia le spore da cui si riproducono altri tartufi.
Ormai sempre meno persone vivono del mestiere di cavatore, mestiere che si esercita tutto l’anno, ad esclusione di maggio e settembre. Questo è dovuto soprattutto all’abbandono delle montagne e delle campagne e al cambiamento climatico: a causa delle estati sempre più calde e secche i tartufi crescono sempre meno numerosi.
Alla domanda su come mai fosse finito a Pianello di Cagli, Nicola ci ha risposto “Cercavo un pezzo di terra e una casa”. Una risposta semplice , ma così anticamente umana, che può dar voce ad una generazione intera, alla ricerca di un modo diverso di vivere, a contatto e in simbiosi con la natura e i suoi frutti.