Testo di Francesco Sabatini
Foto di Sara Furlanetto e Andrea Buonopane
Il nostro viaggio alla scoperta del Sentiero Italia ha inizio in Friuli-Venezia Giulia, terra di confine affacciata a Est, ove l'identità è fluida e in continua trasformazione. Confini naturali, culturali e politici rendono il Carso Triestino un territorio atipico e ricco di storie. Un popolo eternamente giovane perché sempre pronto a rinascere, come i boschi che hanno ricoperto i territori devastati dalla Grande Guerra.
In questa terra di frontiera,tra frasche d'edera che colorano le strade, sopravvivono piccole oasi fuori dal mondo contemporaneo, ove il tempo pare essersi fermato: le osmize, osmica (si legge osmiza) in sloveno. Francesco Guccini, nel suo libro Nuovo dizionario delle cose perdute, le annovera tra le rare forme di osteria rimaste intatte in Italia: un modo semplice e lento di vivere la comunità attraverso il cibo ed il vino, fuori dalla velocità del nostro mondo, nell'incontro, umano anzitutto,tra il produttore e il consumatore.
La radice del nome osmica viene dalla parola slovena osem, che significa“otto”, è il numero dei giorni in cui era permesso vendere i propri prodotti direttamente e senza dazi durante l'anno. Questa tradizione – pare introdotta da Carlo Magno – fu ripristinata da Giuseppe II d'Asburgo, verso la fine del 1700, per serbare il consenso popolare in un punto strategico per l'Impero Austro-Ungarico. Tale concessione è sopravvissuta nei secoli ed è ancora presente oggi: i viticoltori possono vendere il loro vino nelle osmize per circa 60 giorni l'anno, a seconda della quantità di vino prodotto.
I vini più caratteristici che abbiamo incontrato, oltre alla rinomata Malvasia, sono la Vitoska e il Terrano. La Vitoska, sulla cui produzione si sta puntando molto, è un vigneto autoctono del Carso. Un vitigno di identità slovena, perfetto ambasciatore della gente che abita queste lande, come Franc Fabec – proprietario insieme al fratello Tomasc dell'Osmica Fabec di Malchina- che ci dice senza indugi: “Di italiano ho solo la carta d'identità”.
Anche la Vitoska sembra volerci suggerire con orgoglio la propria vera natura attraverso il puntino nero che contraddistingue ogni acino. Se al primo impatto il vino che ne nasce può sembrare un vino schivo (esattamente come Franc), il secondo sorso rivela un vino bianco ricco e profondo capace di raccontare, nelle sue note acidule e nella sua sapidità, la freschezza delle brezze marine che soffiano dall'Adriatico. Le note minerali hanno il sapore delle rocce bianche della Val Rosandra ed una nota mandorlata mostra la cortesia di un territorio che trova nell'accoglienza il più bel modo per raccontarsi.
L’altro “vino genuino” - come lo avrebbe definito Mario Soldati - prodotto in questi luoghi è il Terrano. Conosciuto fin dall'antichità, viene definito terrano per il suo forte legame alla terra, evidenziato dal sapore quasi ferroso: un vino aspro e duro prodotto dal vitigno Refosco. Rosso atipico dalla grande acidità e freschezza, la bassa gradazione lo rende molto simile ad un bianco. Nelle versioni più riuscite, come quella del Terrano IGT Venezia Giulia del 2016 della cantina Lupnic, il suo colore rosso intenso porta con sé un bouquet di aromi leggeri di frutta rossa. Un vino dalle grandi potenzialità, sarà interessante vedere cosa riusciranno a fare i produttori del luogo fra qualche anno. Nell'Osmica Pri Branovih di Repen (zona di Prosecco), viene allungato con acqua frizzante -rigorosamente slovena-, il risultato è uno Spritz sorprendente, un ottimo modo per avvicinarsi a questo vino e ai suoi estimatori locali.
Oltre al vino, in osmica si possono assaggiare affettati, formaggi, poche verdure e - come in ogni buona osteria - le uova sode; il tutto accompagnato da un pane morbido, cotto in cassetta. Nella maggior parte dei casi, i prodotti vengono direttamente dal viticoltore proprietario o, in alcuni casi, da produttori vicini.
Ogni osmica ha un tagliere ricco, contraddistinto da qualche specialità. Si trovano quindi la pancetta cotta servita a pezzettini (vera e propria esplosione di gusto), l’ombolo, tipo di lonzino servito con rucola e olio, il crudo, l’ossocollo o coppa, la salsiccia, il salame. Salumi questi che, vicini al gusto italiano, si uniscono nei taglieri agli affettati “cotti”, lascito delle influenze boema e mitteleuropea.
Nell'Osmica Galivina a Longera (frazione di Trieste) abbiamo assaggiato un prosciutto cotto bollito con il finocchietto e servito caldo, un sapore che ricorda la porchetta, ma più delicata: una squisita sorpresa. Poi, il prosciutto cotto con l'osso, tagliato al coltello, lo speck cotto, la spalletta arrosto con il kren. Il più conosciuto è sicuramente il prosciutto cotto in crosta di pane: il prosciutto avvolto dall’impasto del pane viene cotto in forno, pane e companatico pronti da mangiare!
Tra i formaggi (non molti, ad onor del vero), l'unico degno di nota che abbiamo incontrato è il formaggio Jamar, produzione di Zidarich, dal sapore intenso, stagionato in grotta, la cui crosta mantiene tutti i misteri di una nota balsamica.
In questo mondo di osmizie, l'Hotel Ristorante Krizman di Repen è una mosca bianca. In attività ininterrottamente dal 1906, oggi è guidato dalla quinta generazione della famiglia che lo fondò, con Elvis Gustin a fare da padrone di casa e la sorella e la madre ai fornelli. La sala in cui mangiamo, dalle pareti ricoperte di corna e animali impagliati cacciati dal nonno, un tempo era la stalla per i cavalli degli avventori. La cordialità è squisita, proprio come la jota: una zuppa di patate, fagioli, crauti e cotiche di maiale tipica del Friuli, del litorale sloveno e dell'Istria. Ne mangiamo una versione equilibrata e delicata, nonostante gli ingredienti dai sapori decisi. A rendere questo piatto ancora più speciale è un goccio di Olio Čelo dell'azienda Sancin: dolce e fruttato, frutto di una terra che sembra il luogo perfetto per la produzione di Olio Extravergine di Oliva. Le prime produzioni risalgono agli anni '80 e presto la cultura dell'olio è diventata un perfetto esempio di come le piccole produzioni agricole e l'alta qualità siano un investimento per tutto il territorio.
Il Carso si rivela così un luogo ricco di odori e di sapori, inevitabilmente intrecciati alle tante storie che hanno segnato questo susseguirsi di colline e doline.
I prodotti del territorio continuano a far parte della quotidianità grazie ad una ritualità che sa superare l'imperversante velocità del presente e permette ai piccoli produttori di essere padroni dei loro prodotti e del loro destino. Anche grazie alla condivisione di gusti e sapori, il popolo del Carso Triestino riesce a preservare e trasmettere la propria identità. Un modello di ristorazione da imitare per mantenere vive le tradizioni enogastronomiche delle montagne italiane.