Testo di Francesco Sabatini
Foto di Sara Furlanetto e Andrea Buonopane
In Piemonte, perla prima volta, la nostra spedizione ha puntato la bussola verso Sud, cominciando la lunga discesa verso la Liguria, in un susseguirsi di valli che si affacciano sulla Pianura Padana, prima nella provincia di Torino e poi in quella di Cuneo (la provincia Granda, vista la sua estensione). Ogni valle mantiene un rapporto vitale con i grandi centri in pianura, con i quali i collegamenti sono più semplici di quelli lungo i passi, tra valle e valle.
Sono molti i giovani che, in un percorso contrario a quello dello spopolamento delle montagne, scelgono queste valli per vivere e investire sul proprio futuro. C’è chi, originario delle montagne, dopo un’esperienza di vita cittadina, ricerca i valori e i luoghi della propria infanzia e chi, pur senza legami antichi con la realtà montanara, cerca tra la natura delle vallate un mondo in cui vivere in modo nuovo.
Dai bellissimi colori dell’alba al Lago di Malciaussia nelle Valli di Lanzo, siamo scesi verso Susa, la principale località della valle omonima, accompagnati dalla vista della punta del Roccia Melone. Segusio è il nome antico di Susa e risale all’epoca romana, quando era la capitale del Regno dei Cozii che, formatosi nel secondo secolo a.C., dopo le Guerre Puniche, riuscì a conservare la propria indipendenza grazie a un’accorta politica di alleanza, fino all’età Augustea,quando la popolazione si era oramai romanizzata (si possono ancora ammirare l’anfiteatro romano e la Porta Augustea, simbolo della suddetta alleanza).
Da Susa abbiamo fatto una deviazione verso Bardonecchia e ci siamo fermati nella piccola borgata di Villard, frazione di Beaulard, dove vive Luca Bellet, un caro amico, sostenitore della prima ora di Va’ Sentiero. Si è trasferito nella vecchia casa della nonna, composta da fienile, stalla e abitazione, tornando tra le montagne dopo anni passati in giro per il mondo. Ha cominciato a coltivare un piccolo terreno, davanti al quale c’è un piccolo cortile per gli animali, galline,anatre e una faraona. La curiosità per il mondo agricolo gli ha fatto riscoprire i prodotti della terra e gli antichi metodi di lavorazione e conservazione.
A Bardonecchia, punto di riferimento turistico dell’Alta Val di Susa, Luca ha ritrovato molti suoi coetanei rimasti a vivere in quel territorio con la voglia di riscoprirne le possibilità. Così, da qualche anno Luca e altri ragazzi e ragazze usano il tempo lasciato libero dalle rispettive attività lavorative per dar vita all’Azienda Agricola Bardorti. Hanno cominciato coltivando patate, simbolo dell’agricoltura montana, utilizzando i terreni abbandonati di parenti e amici. L’abbandono della terra è una vera e propria tragedia perché il terreno perde la fertilità, dovuta ad anni e anni di rotazione delle colture, e la patata è un’ottima alleata per la riconquista ditale fertilità, restituendo alla terra gli elementi essenziali, insieme alla canapa, la cui coltivazione fino alla prima parte del ‘900 era importante in tutta la zona.
Vista la grande disponibilità di risorse non sfruttate, i ragazzi di Bardorti si sono rimboccati le maniche per realizzare un progetto che vuole rinsaldare il rapporto uomo-natura. Alle diverse varietà di patate (noi, ad esempio, al nostro arrivo siamo stati velocemente coinvolti nella raccolta di patate viola e a pasta bianca), si è aggiunta la coltivazione di canapa, di piccoli frutti, di aglio, di topinambur e di zafferano. La maggior parte dei prodotti viene venduta direttamente ai ristoranti locali, in una filiera corta che valorizza il territorio con il consumo di prodotti autoctoni. Occasionalmente i ragazzi partecipano a piccoli mercati a valle.
La vera impresa di Bardorti, oltre l’eroica attività di coltivazione, consiste nel considerare il rapporto con la terra come esperienza fondante e necessaria della vita in una comunità montana. Numerose sono quindi le iniziative promosse dai ragazzi, tra le quali quelle rivolte alle scuole per favorire il contatto dei più piccoli con il mondo agricolo. La loro azione, oltre che a preservare i terreni, mira a ritrovare e a condividere un sapere che con gli anni è andato scomparendo: la conoscenza dei luoghi, delle loro caratteristiche e potenzialità, delle coltivazioni adatte, delle erbe spontanee, delle variabili stagionali. A tavola, Luca ci ha parlato, ad esempio, di tanti strumenti trovati nella vecchia casa: servono per la lavorazione della canapa, ma la sua nonna ne ricorda a malapena l’uso. Quando si perdono le conoscenze accumulate in secoli legate al territorio e al mondo agricolo, può diventare impossibile recuperarle.
Per incrementare la vita comunitaria, la raccolta delle patate della Bardorti culmina in una festa, occasione per stare con gli amici che numerosi arrivano dalla città per aiutare nella raccolta, in cambio di una bella mangiata in compagnia! Il piatto forte della festa a cui abbiamo partecipato anche noi sono stati i goffre, specialità occitana simile alle ferratelle abruzzesi e ai waffle. Un composto semiliquido, fatto con acqua, farina e lievito (alcuni aggiungono anche il latte), viene versato e cotto nella gofreria, prezioso strumento culinario, composto da due pesanti facce incernierate di ghisa. Si ungono con il lardo e poi si versa l’impasto che, una volta cotto, prende la classica forma rotonda a nido d’ape. Si fa cuocere per alcuni minuti su entrambi i lati e l’arte del gofriere è proprio quella di riconoscere il momento giusto per girare. Per il dolce, gran finale con le fantastiche creme di nocciola e pistacchio della Pasticceria Ugetti, portate da Davide, erede della tradizione dolciaria familiare.
Salutati Luca egli altri, abbiamo continuato verso sud, non distanti dal confine con la Francia, in un territorio il cui dialetto risente delle influenze francofone, si tratta propriamente della lingua occitana, la lingua d’Oc. L’Occitania è un’area storico-geografica che comprende piccole zone della Spagna a ridosso dei Pirenei, tutta la Francia del sud e alcune valli del Piemonte sud-occidentale e Tolosa è la sua capitale. È una regione caratterizzata da storia, usi e costumi comuni e la lingua, la musica e le danze popolari sono oggi le espressioni peculiari delle genti che per secoli hanno vissuto in queste terre tra il mare e la montagna.
Un tempo parlare Occitano era quasi una vergogna, ma negli ultimi quarant’anni la cultura occitana è stata riscoperta e valorizzata e in Piemonte trova il suo epicentro nella Val Maira. Valle autentica e selvaggia, ha rifiutato il turismo di massa degli impianti sciistici e ha cercato nelle proprie radici naturali e culturali il modo per costruire il proprio futuro.
Negli anni ’90 un gruppo di persone, tra cui guide alpine, personalità pubbliche, operatori turistici, ristoratori e semplici camminatori amanti della montagna, ebbero un’idea molto semplice: ripristinare le antiche mulattiere della Val Maira che nei secoli avevano collegato gli abitati sui ripidi versanti,rendendole sentieri per escursioni. Crearono così i Percorsi Occitani, un circuito di sentieri insieme antichi e nuovi da percorrere in due settimane, con tappe di diversa lunghezza, coinvolgendo tutta la vallata e mobilitando molte potenziali risorse, in un’esperienza che, oltre a non impoverire il territorio, favorisce scelte di turismo sostenibile. Fondamentale per la buona riuscita del progetto è stata la guida escursionistica (Antipasti und alte Wege) scritta nel 1999 da Ursula Bauer e Jurg Frischknecht, due turisti tedeschi innamorati della Valle.
Proseguendo il nostro cammino (che ci ha regalato un incontro con famiglie, bambini compresi, impegnate nella fase finale della transumanza, la demonticazione, cioè il ritorno in pianura delle mandrie), abbiamo raggiunto la frazione di San Michele di Prazzo dove Daniele Landra, anche lui tornato alle montagne dopo l’esperienza della vita cittadina, ci ha accolti nel suo bellissimo agriturismo, Al Chersogno, uno dei posti-tappa dei Percorsi Occitani. L’ospitalità è il suo principale valore, insieme alla genuinità dei cibi proposti e all’autentico impegno di chi ci lavora.
Daniele ci aspettava nei suoi campi di patate (ne coltiva ben quarantacinque varietà, alcune divenute rare) e noi, oramai esperti, abbiamo dato una mano a raccoglierle mentre, incantati e divertiti, lo ascoltavamo raccontarci la sua storia. La sua avventura è iniziata, seguendo le orme di alcuni conoscenti, con le api. Un po’ per gioco ha iniziato a produrre miele e altri prodotti dell’apicoltura. La sua produzione biologica oggi segue il nomadismo delle api, che inseguono le migliori fioriture. Insieme ai genitori ha ristrutturato l’antica casa di famiglia per farne un agriturismo,un luogo di pace e relax ai piedi del monte Chersogno. Diventare uno dei posti-tappa dei Percorsi Occitani è stato il passo successivo.
Con la nascita dell’Agriturismo la produzione agricola è aumentata e si è diversificata: cavolo nero, cavolo verza, barbabietole, rape, zucchine, insalata, sedano e tanti altri ortaggi. Lavorando duramente (perché lavorare la terra a 1600 metri non è un’impresa facile), anche con l’aiuto di parenti e amici, Daniele ha ripulito circa due ettari di terreno. Ha costruito anche delle serre, per servire sempre verdura fresca agli ospiti del suggestivo ristorante ricavato nella vecchia stalla dal soffitto a botte.
Alla ricerca di nuovi prodotti da proporre, oltre alla canapa coltiva anche la segale e, in collaborazione con il birrificio Troll, produce la Birra Chersogno, fatta consegale, canapa e miele che provengono dai suoi campi. La birra è deliziosa,delicatamente aromatica, con un gusto di canapa leggero ed equilibrato.
La nostra permanenza nel suo straordinario agriturismo è terminata in un piccolo cortile in cui c’erano pecore Muso Nero del Vallese, una razza in via di estinzione che produce un’ottima lana. Daniele ci ha salutati lasciandoci una cassetta di verdure da portare a Lola, una ragazza svizzera che, durante un viaggio in bici, si è talmente innamorata della valle da decidere di aprire un ristorante vegetariano nella piccola Borgata Reinero.
Viaggiare tra le valli piemontesi ci ha fatto incontrare tante testimonianze di rinascita della vita in montagna, modelli basati sul rapporto stretto con la natura. Grazie alla cura per i prodotti della terra e alla ricerca di gusti e sapori genuini, è possibile realizzare un diverso modo di vivere, nel rispetto e in sinergia con l’ambiente.