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Amatrice oltre l'amatriciana

Testo di Francesco Sabatini

Foto di Sara Furlanetto

         

        Prima di raggiungere il borgo di Amatrice distrutto dal terremoto, abbiamo fatto una piccola deviazione e, dopo pochi minuti di macchina, abbiamo raggiunto una vasta piana che si estende alle pendici dei Monti della Laga, dove si sviluppano molte frazioni di Amatrice tra cui Sommati. Anche qui il terremoto è stato devastante, ma l’enorme struttura in legno de La Fattoria che si staglia sotto il monte Pizzo di Sevo è uno dei simboli della voglia di rinascita della gente del luogo. Accanto, il vecchio ristorante distrutto è in attesa di essere ricostruito. 

La nuova struttura, sullo sfondo Pizzo di Sevo e il Monte Gorzano

Veniamo accolti Nando Bonanni, che dal padre Angelo ha ereditato l’attività. Angelo era il proprietario del bar/locanda di riferimento del paese. Nando, insieme a sua moglie Luciana Gianni, ha dato vita al ristorante vero e proprio, ormai quasi trent’anni fa. Oggi, a gestire il ristorante insieme ai genitori, ci sono Angelo e Romina, la terza generazione. Angelo, un omone grande e grosso che, con la mamma si occupa della cucina, non si ferma un minuto ed è sempre indaffarato a gestire il ristorante e l’azienda agricola, oltre che a sognare progetti futuri. Non si fa in tempo ad arrivare che si è subito travolti dall’energia di Nando: è un instancabile settantenne che ha imparato da ragazzino l’arte di accogliere le persone, quando per un periodo si trasferì a Roma come fanno molti suoi compaesani. Il menù non c’è, si mangia quello che offre la casa, ovvero quello che fanno benissimo da trent’anni: abbondanti antipasti freddi e caldi, amatriciana e gricia, grigliata mista, dolce, caffè e amari. Un menù di montagna che racconta al meglio quali sono le specialità del comune reatino. 

L'interno della nuova struttura in legno

Prima della pandemia del Covid, arrivavano a tavola direttamente salumi e formaggi sul tagliere e ognuno decideva quando fosse giusto fermarsi. Dato il momento storico, questo importante atto di condivisione contro ogni forma di spreco non è più possibile. Tra i salumi troviamo il meglio che la norcineria locale offre: immancabile è il prosciutto Amatriciano Igp, la cui classica forma a pera genera una fetta più ampia dal sapore intenso e dolce; il lonzino stagionato; la lonza, conosciuta in altre zone come capocollo; l’Aquilano schiacciato, un salame la cui pressatura dona un sapore unico; la salsiccia di fegato stagionata; infine, i salumi dei territori limitrofi come la fiaschetta di Norcia o la mortadella di Campotosto, chiamata anche “cojoni di mulo”, contraddistinta dal lardello centrale. Ogni mattina arrivano dal caseificio accanto la ricotta ovina ancora calda (una vera delizia!) e il pecorino, che qui è il formaggio per eccellenza. Ad accompagnare salumi e formaggi ci sono patate, uova lesse e pizzette fritte che, come ci racconta Angelo, sono una tradizione della nonna Maria: “ancora calde con una fetta di prosciutto sopra - un’accoppiata vincente”.

Gli antipasti freddi

Gli antipasti caldi sono un sunto della tradizione locale e sono i piatti per eccellenza di questa cucina godereccia. La coratella è il non plus ultra della cucina laziale: piatto tipico del centro Italia, è uno spezzatino di interiora di agnello (cuore, polmoni, fegato, reni, milza e animelle) che, dopo essere state ben lavate, vengono fatte cuocere lentamente con cipolla e vino bianco. Ogni piccolo pezzo ha una consistenza diversa ma contiene la stessa esplosione di gusto travolgente. Altro antipasto caldo è la trippa, ovvero lo stomaco del bovino tagliato a listarelle e cotto con soffritto e pomodoro. Ad impreziosire il piatto, classico della cucina romana, la nota fresca data della menta. La mattina Luciana, la moglie di Nando,  va nell’orto vicino al vecchio ristorante e ne raccoglie grosse manciate. Come guarnizione non può mancare una spolverata di pecorino. A chiudere il tris di antipasti caldi ci sono i fagioli con la salsiccia.

La coratella

D’estate il ristorante è affollato di turisti: tra loro, c’è chi viene a posta da Roma per poter mangiare qui la gli spaghetti all’amatriciana e alla gricia di Luciana. Vederla muoversi dietro i fornelli è uno spettacolo, i segreti di questa ricetta Luciana li ha scritti nella pelle. Indovinare la cottura esatta del guanciale è un’arte che non può essere spiegata, il momento giusto va sentito. Il guanciale è il vero prodotto simbolo di questo territorio: realizzato con la guancia del maiale, rappresenta una parte nobile dell’animale che i pastori del luogo trattavano con cura e rispetto. Il guanciale è anche l’anima di queste due ricette: la sua qualità insieme all’arte di saperlo cucinare fanno la differenza. Sui dilemmi legati all’amatriciana forse non se ne verrà mai a capo, ma quella che fanno qui è veramente eccezionale. Ci lasciamo raccontare la storia di questa ricetta da Angelo: 

La vera amatriciana è bianca e si chiama Gricia: il pastore che andava in montagna prendeva un pezzo di guanciale fatto con il proprio maiale, poi prendeva del vino (perché si faceva una passeggiatina e se lo beveva), del pecorino delle proprie bestie e un po’ di peperoncino. Quando andava in montagna a pascolare le pecore, a 1500 metri, accendeva un fuoco, metteva da parte l’acqua con la pasta che bolliva e fare la griscia era talmente semplice che bastava una padellina, un po’ di guanciale e sfumavi con il vino bianco. Poi è venuta l’amatriciana rossa - perché nell’Ottocento è stato importato il pomodoro - i pomodori da noi non esistevano ma facendo parte dal Regno di Napoli, è arrivata ‘a pummarola’! Hanno così incominciato a inserirla su varie pietanze e la gricia l’hanno fatta rossa.”

Angelo Bonanni

Se dopo tutto questo ben di Dio aveste ancora fame, ad attendervi c’è un’ottima grigliata mista. Prima del terremoto, buona parte dei prodotti arrivavano direttamente dall’azienda agricola di Angelo, ma a seguito dell’inagibilità delle stalle sono rimasti soltanto i cavalli da tiro, che Nando cura con passione aiutato dal figlio Angelo e dai nipoti Mattia e Davide (delle vere pesti). 

Pranzare a La Fattoria significa immergersi completamente nella cultura verace di queste terre, dove un tempo gli animali sono stati un mezzo prezioso per sopravvivere e oggi sono un modo per poter trasmettere, attraverso i piatti della tradizione, la cultura di questi splendidi luoghi incastonati tra le montagne. Una cucina senza fronzoli, gustosa e genuina che continua a conquistare per la sua semplice bontà. Provati dal lauto pranzo andiamo via, sicuri che il ricordo dei visi sorridenti della grande famiglia Bonanni non ci abbandonerà più.

I volti sorridenti dello staff de La Fattoria